Per fortuna la perfezione non esiste. Si, proprio così. Consapevole del fatto che molti di voi sono tentati dal ricercarla per se stessi, ma anche per tutto ciò che li circonda, che si tratti di persone o cose.
PERFEZIONE
/per·fe·zió·ne/
Sostantivo femminile.
Il grado qualitativo più elevato, tale da escludere qualsiasi difetto e spesso identificabile con l’assolutezza o la massima compiutezza.
Leggendo la definizione tratta da un dizionario della lingua italiana, si evince come l’essere perfetto, privo di errori, mancanze e difetti, faccia gola a chi non ama inciampare in nessun appunto, obiezione o censura.
Cerchiamo di vedere tuttavia cosa si nasconde dietro questo desiderio che in molti ricercano come obiettivo, spesso di vita, che non poco guida i loro vissuti e relazioni.
UNO SGUARDO ALLA SOCIETA’ IN CUI VIVIAMO
La società occidentale in cui viviamo è costantemente improntata al miglioramento di prestazioni in ogni campo: lavorativo, sociale, personale, per non parlare dell’aspetto fisico. Il fine ultimo è quello di una continua evoluzione, senza sosta e senza tregua, verso risultati sempre migliori, all’insegna dell’eccellenza.
Attenzione: ben venga un sano miglioramento, ma quando tutto ciò può divenire disfunzionale? Quando si perdono di vista obiettivi reali, in armonia con l’evoluzione della persona stessa, quando la tendenza diviene quella di ritenere inaccettabile qualsiasi tipo di imperfezione.
Proprio qui prendetevi una pausa e correte ai ripari. Gli standard a cui auspichiamo devono essere soprattutto ragionevoli e alla portata delle proprie possibilità.
QUANDO SI PARLA DI “PATOLOGIA”
Un primo requisito è quello di ricercare modelli irrealistici, ma non solo. Se il perpetrare tale ricerca porta ad un malessere di funzionamento della vostra persona, qualcosa inizia a scricchiolare. Standard di comportamento ed aspettative elevate, non pertinenti ad un piano di realtà, sono sinonimo di un malfunzionamento all’interno del vostro essere.
Va bene evolvere, darsi nuovi obiettivi, ma tenete ben presente che non esistono quantità infinite di energia per raggiungerli. Anche perché chi è governato da tale modalità, appena arrivato al traguardo, si pone istantaneamente questa domanda: <<Ok, ed ora che faccio?!>>, senza godere di ciò che ha raggiunto.
MA COME SI FA A CAPIRE IN MODO NETTO CHE STIAMO PERCORRENDO I SENTIERI DELLA PATOLOGIA?
Quando interpretiamo l’errore come indice di fallimento: <<Non sono riuscito: non valgo proprio a niente!>>. Parole ed affermazioni come queste devono suonare da campanelli di allarme.
Pensieri che non assumono la possibilità della sfumatura, ma che viaggiano nella dicotomia bianco/nero, hanno a che fare con una severità eccessiva che poco raffigura un ambiente accogliente ed accettante riguardo alle proprie capacità.
Il leitmotiv di sottofondo ha a che vedere con una sfiducia nelle proprie attitudini, spesso mascherata da una falsa sicurezza in se stessi nei contesti della socialità: a far da cornice a tutto ciò vi è un timore profondo e radicato, ovvero quello del giudizio altrui.
Nei momenti di forte crisi un vissuto riportato da molti è quello della pressione delle aspettative degli altri , soprattutto persone significative all’interno della propria vita: spesso si tratta di genitori e/o partner.
SOTTOTIPI DI PERFEZIONISMO
Un primo sottotipo di perfezionismo è quello soggettivo, diretto alla propria persona, chiamato autodiretto. L’individuo si autoimpone standard molto severi che tendono a non commettere e contemplare errori. Il grande rischio è quello di piombare in una depressione volta a vedere l’errore come una squalifica globale della persona stessa.
In molti casi il soggetto che ricerca la perfezione allaga anche coloro che la circondano: in tal caso si assiste al sottotipo di perfezionismo eterodiretto. Episodi di rabbia ed aggressività innondano coloro che li circondano nel momento in cui non si attengono alle regole e ai comportamenti dettati come idonei. Ciò porta l’ambiente circostante, lavorativo ed intimo, a vivere un clima di rigidità ed assenza di rilassatezza ed accoglienza: chi circonda queste persone è governato dalla paura costante di sbagliare.
Vi è un ultimo sottotipo, quello socialmente imposto: <<sarò amato solo quando incarnerò quel modello di perfezione che le persone ricercano>>. Ritengono, in maniera erronea, che gli altri possano avere aspettative elevate nei loro riguardi ed è necessario soddisfare tali standard per ottenere approvazione e amore.
SONO PIU’ GLI UOMINI O DONNE?
Nota importante: contrariamente a quanto generalmente si possa credere, il perfezionismo colpisce in egual misura uomini e donne, di qualsiasi ceto sociale e livello culturale. Abbandonate vecchi e retrogradi stereotipi di genere: il perfezionismo, patologico e non, colpisce proprio tutti, in maniera indistinta.
TIPI DI PATOLOGIA ALL’INTERNO DEI QUALI SI TROVA IL PERFEZIONISMO
Possiamo ritrovarlo nel disturbo ossessivo-compulsivo, soprattutto nei tratti collegati alla paura di commettere errori e di essere giudicati. L’impatto maggiore si ripercuote sulla vita lavorativa e relazionale, connotato da una estrema attenzione all’ordine, all’organizzazione ed alle regole, ovviamente da rispettare, al fine di avere un controllo mentale sulla propria produttività e vita interpersonale.
Tale tratto viene ritrovato all’interno dei disturbi di ansia, nella paura di non essere all’altezza della situazione; nei disturbi alimentari si ha il timore di non ricalcare standard di perfezione, che sono in realtà patologici e nocivi, che mettono a repentaglio il benessere della persona stessa. Tale tratto compare anche nei disturbi depressivi ed ha a che fare con la paura estrema del fallimento.
DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITA’
In persone che presentano invece disturbo di personalità di tipo narcisistico, il perfezionismo si mostra sotto la lente di apparire fascinosi, potenti, grandiosi e di successo, per risultare socialmente ammirabili e rispettabili, nonché amabili.
E’ POSSIBILE DISINNESCARE IL MODUS OPERANDI DEL PERFEZIONISTA?
Attraverso un percorso di consapevolezza è possibile intraprendere un cammino clinico volto a identificare gli estremi costi, a discapito dei benefici, che le credenze perfezionistiche, di tipo disfunzionale, portano.
Un primo passo è quello di individuare le attività svolte in modo compulsivo e iniziare ad inserire un andamento più reale ed umano.
Può essere una buona idea introdurre nella quotidianità comportamenti contrari alla perfezione, volti a fungere da vera e propria sfida alla modalità in atto: sarà un piccolo grande passo per invertire la tendenza rigida della perfezione.
Tale percorso necessita di una grande motivazione ed una notevole messa in discussione senza la quale difficilmente si abbandona il vecchio modus operandi che tanta sicurezza ha dato, ma che inizia ad essere un abito troppo stretto da continuare ad indossare.
LA PERFEZIONE CHE PER FORTUNA NON ESISTE
Vi siete mai chiesti cosa significhi per voi incorrere nell’errore? Avete mai esplorato la dimensione del perfezionismo all’interno della vostra vita?
Cercare di migliorarsi è sicuramente un lato positivo da coltivare, ma attenzione a non cadere nella spirale infinita della perfezione che porta ad una visione statica e asfittica della vostra vita. Solo accettando l’imperfezione che fa parte di noi e che ci rende unici ed irripetibili, possiamo impegnarci nel raggiungere i nostri obiettivi realistici, senza ossessionarci nel voler realizzare cose al fuori della nostra reale portata.
Il perfezionista è di solito governato da una costante ossessione, destinata ad una frustrazione in quanto non raggiungerà mai quello che desidera, semplicemente perché non esiste, o, famelico di nuove sfide, non gode dei traguardi nel qui ed ora.
Pensate al mito di Sisifo condannato dagli dei a spingere un masso enorme fino alla cima della montagna, ma, ogni volta raggiunta la meta, il masso rotola di nuovo a valle: la ricerca della perfezione è una grande fatica che alla fine non porta ad un reale appagamento, ma alla continua frustrazione e autocritica che difficilmente vi abbandonerà se non invertite tale tendenza.
Dott.ssa Francesca D’Amico.